do you know ... Luca Barboni

Intervista a Luca Barboni

Il nuovo appuntamento con le quiver interviews

In un mondo in cui ormai tutti parlano di Marketing ma in pochi sanno davvero farlo, abbiamo scelto di voler dare voce a professionisti che in questi anni si sono affermati nel panorama italiano e internazionale.

Crediamo che il loro percorso, la loro storia ed i loro consigli potranno ispirare Marketer e appassionasti, sul presente e futuro di un settore in pieno sviluppo.

La scorsa volta abbiamo intervistato Joe Di Siena (leggi l’articolo) parlando di JV Marketing.

Oggi invece è la volta di Luca Barboni, imprenditore, Public Speaker e Advisor per Startup, Founder & VP of Marketing 247X. 

Lo ringraziamo in anticipo per la disponibilità ed il contributo di questa intervista.

La prima volta che luca ha letto di growth hacking era il 2014

la scoperta del growth hacking DA PARTE DI LUCA BARBONI

Come hai iniziato e quando hai capito che il Growth Hacking sarebbe stato il tuo lavoro?

Ho cominciato come freelance Digital Marketer nel 2013 e presto sono entrato come Marketing Manager in una startup.

In quel ruolo, oltre a sperimentare tante cose dalla trincea del Marketing e contaminare le mie competenze con UX e IT, guardavo costantemente cosa succedeva in USA dove “quelli bravi” raccontavano un modo diverso di gestire lo sviluppo del prodotto e del marketing.

La prima volta che ho letto del Growth Hacking è stato nel 2014, da un contenuto di Neil Patel. Da lì sono arrivato a Sean Ellis, Brian Balfour e Andrew Chen.

L’approccio Growth mi permetteva di unire i puntini tra ciò che già conoscevo, il Digital Marketing, ma anche altre discipline e concetti che stavo scoprendo, tra cui la User Experience, il Metodo Lean, l’Analisi dei Dati e la Sperimentazione nelle Scienze Sociali (da cui provengo, avendo una laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche).

E’ stata una sorta di epifania che mi ha fatto pensare: “Ma davvero si può fare?”. 

Questa rivoluzione di approccio aveva talmente senso per me che non potevo tornare a fare le cose come prima. Quindi ho approfondito studiando. L’ho testato sul campo sia all’interno della startup sia con delle mini-consulenze in stealth mode. Dopo di che ho analizzato il mercato italiano per capire cosa si stava muovendo, e questa ricerca mi ha fatto capire che era un oceano blu.

Questo in breve mi ha portato a scegliere di distaccarmi dalla startup per seguire un mio percorso da consulente, verticalizzando le mie competenze e il mio posizionamento da “Luca, quello che fa il Marketing della startup” a “Luca, il primo formatore e consulente italiano verticale sul Growth Hacking”.

Il mio primo intervento in pubblico con questo biglietto da visita è stato a maggio 2015, all’interno del primo evento della community romana Digital Yuppies, e da lì è partito tutto.

 

– Luca, se potessi avere un superpotere nel tuo lavoro quale sarebbe?

Non è propriamente un super potere, ma ti direi: l’empatia (in questo caso immaginiamo una versione esagerata stile X-men dell’empatia).

Il marketing si basa sulla creazione di valore. Ma il valore è relativo, dipende dalle persone.
Solo conoscendo a fondo i bisogni, le caratteristiche, le narrazioni, le esperienze di vita della persone, possiamo realizzare prodotti e servizi che creino valore per loro, semplificandone o migliorandone la vita, e dunque ottenendo in cambio transazioni economiche.

Questo significa che sebbene ci sia una forte componente tecnologia nel marketing, soprattutto nel digitale, almeno il 50% della medaglia riguarda la capacità di comprendere a fondo i nostri clienti.

I dati stessi, non sono altro che uno dei tanti modi possibili di ascoltare, immedesimarci e comprendere al meglio il loro punto di vista, grazie all’analisi dei loro comportamenti.

cosa serve per essere un buon growth hacker nel 2022 SECONDO LUCA BARBONI

– Quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un buon Growth Hacker nel 2022?

Trattandosi di un processo ti direi che non cambiano molto nel tempo.

Ci sono 3 elementi che non possono e non potranno mai mancare in questo mestiere:

1 – la competenza nell’analisi dei dati e l’uso di tool di analytics

2 – la capacità di sviluppare strategie e modelli, spesso utilizzando canvas di diverso tipo per mappare la complessità della crescita di un’impresa sotto tutti i punti di vista del business model

3 – la capacità di fare previsioni e di applicare l’ingegneria inversa al raggiungimento degli obiettivi, avendo a che fare con metriche e numeri, alla base lavorando su fogli di lavoro

A fare da cappello a questi tre punti ci deve essere ovviamente la conoscenza del processo di Growth. Altrimenti non sarebbe Growht Hacking.

Se dovessi scegliere, meglio un marketer con profilo a T o un team di crescita con diversi verticali?

Ti direi che in ottica di “forza lavoro” un Team ben organizzato e guidato da figure trasversali con l’approccio Growth può seguire un ritmo di sperimentazione più elevato e dunque produrre più risultati e prima.

L’organizzazione del carico di lavoro e il ritmo di sperimentazione sono caratteristiche spesso sottovalutate quando si parla di Growth Hacking.

La quantità di esperimenti lanciati e dunque la velocità con cui vengono lanciati sono caratteristiche chiave dell’approccio: quello che Sean Ellis chiama “High Tempo Testing”.

Credo che la figura di competenze “T-shaped” non debba per forza corrispondere al profilo di un singolo (anche perché sarebbe quasi impossibile) ma può corrispondere anche alla somma delle competenze di un Team che denota diverse verticalità.

L’importante, come sopra, è la coordinazione di un Head of Growth / Growth Master che sappia convogliare gli sforzi e creare sinergie, piuttosto che creare silos e dipartimenti sconnessi.

 

– Ci sono delle differenze tra Growth Hacking per startup e per aziende strutturate? Quali?

A livello di metodologia no, quello che cambia solitamente sono le metriche chiave e l’area di impatto.

Mi spiego. Per una startup in una determinata fase di crescita, generare profitto potrebbe significare accelerare con il freno a mano tirato. Perché ogni euro che ti tieni in cassa potrebbe invece essere speso per acquisire un utente in più e alimentare una curva a J che renderà più attrattiva la tua startup agli occhi degli investitori per il prossimo round.

E’ un concetto di Blitzscaling del tutto contro intuitivo (se non del tutto folle) per qualsiasi impresa che NON faccia affidamento su capitali di rischio e crescita aggressiva, eppure è così.

Mentre invece se parliamo di aziende non-startup, quindi che non vivono di investimenti e che non perseguono modelli di business progettati per essere estremamente scalabili e crescere esplosivamente, la cassa conta eccome.

Questo significa che le metriche saranno inevitabilmente legate alla sostenibilità economica del progetto e dell’azienda.

Sull’area di impatto invece quello che intendo dire è che solitamente nelle startup il lavoro sulla crescita abbraccia il 100% dell’azienda, che lavora su prodotto e marketing tramite cicli agili.

Nel caso di aziende strutturate invece di solito i primi progetti su cui si sperimenta questo approccio sono nuove linee di business, entrate in nuovi mercati, spin-off ecc. 

In questo modo si preserva la solidità del modello di business core, e a nuove iniziative si dà “licenza di sperimentare” come se fosse un’azienda nell’azienda.

I cambiamenti nel settore SECONDO LUCA BARBONI

– Quali sono i cambiamenti che ti aspetti nel mondo del marketing nei prossimi 3 anni? E quelli che ti auguri?

Mi aspetto che la parte empatica, umana e creativa prenda sempre più il sopravvento rispetto alla parte di “trick” e “hack” tecnologici.

Trend come l’AI e l’implementazione del machine learning in tantissimi aspetti del digital marketing fanno sì che figure altamente tecniche capaci di brillare grazie a tricks e tecnicismi perdano valore man mano che le piattaforme diventano -effettivamente- più intelligenti e capace di ottimizzare i budget rispetto a quanto fa l’uomo.

Viceversa però già stiamo vedendo come un ricambio generazionale in favore di consumatori più educati, consapevoli, attenti all’etica alla sostenibilità e alla vision di un progetto sta avendo un impatto nelle decisioni di Marketing che vengono prese dalle aziende.

In un certo senso mi aspetto un progressivo ritorno alle origini: un marketing fatto di narrazioni e simboli che predomina su un marketing fatto di tips tecnici su come creare audience grazie a Meta Ads e Tag Manager.

 

– Domani devi ricominciare tutto da zero e ti ritrovi con 500€ nel conto, come li investiresti per crescere rapidamente nel tuo progetto?

Ti rispondo più o meno come ha risposto Mark Cuban, investitore, quando gli è stata fatta praticamente la stessa domanda.

“Conquistandomi i clienti uno ad uno”.

Uno dei concetti spesso fraintesi in ambito Growth viene da Paul Graham di Y Combinator, ed è “fai cose che non scalano”.

Un consiglio del tutto controintuitivo se pensiamo all’ossessione verso il risultato e la velocità tipici delle startup.

Eppure alla base non è altro che un suggerimento sul concentrarsi sull’80/20, ma sempre consapevoli della fase che si sta attraversando.

Per un’azienda da 0 clienti, fare 10 vendite è una rivoluzione.

Serve forse costruire un mega funnel e investire milioni in advertising?

No. Probabilmente te la cavi con Network e un post organico su Linkedin.

Certo: altra cosa è fare da 10 a 100. Da 100 a 1000. Da 1000 a 10.000.

Ma non scalare qualcosa che non è mai stato dimostrato funzionare nemmeno in piccolo.

Il libro che consiglieresti a tutti

– Il libro che ti ha cambiato più la vita nell’ultimo anno…

Fare Marketing Rimanendo Brave Persone”.

E’ un libricino che ristabilisce la nobiltà e l’eleganza del marketing come un mestiere positivo, che non si basa su manipolazione o persuasione, ma sulla creazione di narrazioni positive che arricchiscono di significato l’esperienza di vita delle persone.

Non tutte le narrazioni sono positive però, o nobili.

Le narrazioni nobili sono quelle che richiamano grandi racconti universali, storie che migliorano chi le ascolta, racconti dove è presente una trasformazione. E questa trasformazione è dotata di Generatività, cioè generatrice di senso, creatrice e curatrice di futuro.

“La Generatività si manifesta in tutte quelle attività produttive e creative che sono mosse dalla tensione ad accrescere il potenziale delle generazioni successive e che vanno a beneficio dell’intera umanità”.

Per poter avere questo impatto positivo però è importante che ci sia qualità, verità e generatività sia nella comunicazione che nel prodotto o servizio che eroghiamo.

In questo senso il Marketing praticato da non-brave persone è quello dove:

– C’è una buona comunicazione su un cattivo prodotto (promesse tradite)
– C’è una cattiva comunicazione su un buon prodotto (narrazioni distruttive)
– C’è una cattiva comunicazione su un cattivo prodotto (narrazioni distruttive e promesse tradite)

Insomma un libro semplice che spolvera le fondamenta del Marketing che affondano nello storytelling e nella psicologia. Semplice, ma per nulla banale.

 

– Per la prossima intervista nel nostro blog, chi ci consiglieresti di chiamare subito fra i tuoi contatti nel mondo del marketing?

Penso che una bella chiacchierata con Matteo Aliotta possa essere un altro bel momento di confronto sul mondo Growth.

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